Egidio Belotti
1° classificato
Ancora voci sotto casa
Voci misurate sotto casa si trascinano
lente con la pigrizia dei cuccioli
assonnati e trattenere questo tempo
incerto e poco generoso con il sole
innocente, e il viaggio ricomincia
sui volti segnati dagli errori
poco perdonati, oltre le porte
spalancate sugli sguardi che tornano
sicuri attraverso i desideri affollati
dove la memoria diventa implacabile
e il crepuscolo ridisegna i sentieri
dietro l’intimità dei cespugli:
si ascoltano, si parlano ancora
nei cortili sotto casa questi tenaci
testimoni aggrappati a giorni residui
senza turbamenti, il loro frutto
non è dolore ma anticipo d’eternità
con l’ironia calma e discreta
dietro le pupille colme di luce
a respingere il sonno per riscoprire
con ostinata dolcezza
le albe dei pensieri dimenticati:
anche la fioritura è mite
cullata da questo vento lieve
di settembre con i timidi riflessi
sulle ultime farfalle e il silenzio
del cipresso che minaccioso
allunga la sua ombra.
Riccardo Forfori
2° classificato
Un giorno avrai
Avrai un giorno forse l’ansia del successo
e la consolazione di un amore.
Avrai il coraggio di guardare avanti
e scoprire che ci sono ancora le stelle,
che le strade si separano e potrebbero non coincidere,
e le mie distese innevate saranno allora per te
ostili e freddi ghiacciai;
le mie nuvole solari
ti appariranno nembi carichi di grandine.
Avrai il tempo di capire, un giorno,
che ogni cosa ha una sua ragione,
che ogni amore ha una sua stagione
e che ogni espressione risponde ai perché della vita
senza motivo, talvolta senza sosta.
Un giorno avrai la forza di volare più in alto,
di perderti oltre il tempo,
di recidere il filo magico che ci lega
e di rompere il vetro che ti rende diafana
e impalpabile adesso, così fredda e riflessa e lontana.
Avrai il ricordo della luna e vegliare le tue notti:
le solite notti e la solita luna
e ti scorderai, un giorno, il piacere del mio sole:
la cortesia e la disperazione, la condivisione e la paura,
la gioia urgente e appagante e sempre straripante,
anche nella sofferenza.
Avrai un giorno di che ricordare:
le antinomie delle nostre consuetudini,
le tristezze dei silenzi in attesa dell’indulto.
Allora capirai forse le ragioni del sentimento
e la consapevolezza inconscia dei miei gesti assurdi.
Avrai un giorno il testimone dell’assenza
stretto nelle tue mani e allora soltanto
potrai scegliere se tirarti indietro
o naufragare nel ricordo.
Giovanna Gelmi
3° classificata
Arpa di spuma
Nel tortile silenzio di conchiglia
si smarrisce il risucchio
del tremito di sabbia
e di pagaia.
Già il murmure di schiuma
si abbrivida del vento nella rena,
si lucida di un grido
che si smorza
il quieto labirinto delle palme.
Arpeggia la trina della spuma
in vitree risonanze
le sue note di sale,
con dita di medusa è cornamusa
di onde inosservate.
Negli occhi è la distanza
illanguidita:
s’affaccia all’orizzonte
e lì si impenna
su costure di moli nei ricami
di luce e di profondo,
poi ricade
nell’onda di un sospiro
che tace gli alti affanni
in muto canto.
Ogni marea si spegne
dentro conche di brezza
e di arenile,
nelle valve di luna
splende il sogno
che più al largo ti porta.
Marco Briano
4° classificato
Anfratto d’emozione
Insegnami il tuo mestiere gabbiano,
musica del mare,
senza usare troppe parole
ma semplici emozioni per volare
e respirare il profumo di questo mare.
Insegnami a danzare nel vento
così quando verrà la sera
potremo ballare
sulle note scintillanti dell’argento,
sentire il canto lontano di qualche sirena
che si perderà nei sogni di una bambina
e forse, mai nessuno l’ascolterà…
Insegnami ancora poeta del mare
tra l’altalena di questo tramonto
e la giostra che ti fa cullare,
se le stelle sono coriandoli infiniti
come le onde
che fanno piangere il mare…
Poche emozioni
cucite a mano dai sogni di bambino,
e voleremo nella magia della notte
tra gli applausi della gente,
nell’esplosione di un amore latente
e viaggeremo per confonderci tra i gabbiani
con le ali della mente.
Fingeremo di essere cigni nell’acqua di sale
solo per pochi istanti
e ci perderemo,
amata penna conficcata nel mare
sofista senza parole,
naufrago senza colore
pittore nato nel sole,
anfratto d’emozione.
Danila Olivieri
5° classificata
L’azzurro incanto
E la casa era lì,
in cima alla salita
d’una terra che aspramente scollina;
lo sguardo su ulivi e vigneti,
la pelle grinzosa scurita
di sole e di scirocco.
Il tempo sai – tu mi dicevi –
sgretola sassi, scava rughe
e adagio poi t’annera
l’arcobaleno dei pensieri…
Ma nel lecceto, il fiato
del vento era immutato
e nel giardino, fra scomposte siepi
e bruciore d’ortiche, era sbocciato
e pareva visione,
il cielo pervinca dei tuoi giacinti.
…E potevi dirmelo nell’aria
accesa di profumi
d’un inoltrato aprile di partenza,
che avresti portato l’azzurro incanto
fissato dentro agli occhi,
anche l’istante prima dello schianto
contro l’auto che il destino deviava.
E potevi dirmelo madre mia,
avresti alleggerito
un poco, questa pena.
Alessandra Crabbia
6° classificata
1945
Splendevano le tue spalle some marmo caldo,
mentre gli aerei volavano feroci tra Boston e Hiroshima.
Una milonga triste aleggiava nella sala della tua festa del ’45,
mentre i portici bolognesi non avevano ancora l’odore naufrago del dopo-guerra.
Il grammofono rauco esalava la sua canzone nera,
mentre lontano un uomo cadeva ghiacciato vicino al Don,
e il frumento in Grecia cresceva insanguinato.
E la via Emilia era cupa e pesante di macerie
e rosari alle porte
e lumi spenti.
Nessuno più sapeva contare i giorni a venire.
Nessuno più riusciva a cantare la canzone struggente occultata nei pugni.
Nessuno più osava credere che le colombe sarebbero tornate.
Si respirava piano, in quel crepuscolo d’estate
nella tua casa rossa di via Delle Rose.
Intanto gli uomini correvano sulle montagne come lupi ciechi,
avevano il fucile caldo, il volto segnato, il cuore tatuato.
Ma il tuo grammofono suonava mesto e avido,
perché era il tuo compleanno,
e vent’anni son pochi per credere nel nero dell’uomo e nella morte.
Intanto lontano una madre nuda si avviava verso le docce senza ritorno
col suo bambino appeso al collo, ombre di spine sul suo viso,
e nessun dio scese a salvarla.
Tu ballavi con quell’uomo pazzo che aveva i miei occhi:
un brivido nel ventre al suo accento argentino.
E lontano un uomo in trincea, immerso nella sua fine,
scrisse a sua moglie che non sarebbe tornato.
Ma tacquero, le sirene, quella notte,
e tu continuasti a esser giovane e bella, in questa foto del ’45.
Perché splendevano le tue spalle come marmo caldo, madre,
mentre gli aerei feroci volavano crudeli
tra Boston e Hiroshima.
Francesca Di Castro
7° classificata
È sempre il maggio dei miei pensieri
il maggio ricco dal cuore buono
non c‘è medicina migliore
al mio vivere
che entrare a piedi scalzi
dentro il bosco
Subito il fresco mi dà ristoro
e quel profumo denso di muschio
Un’unica cincia pigola e bacchetta
e sa svolare come elfo al mio orecchio
Non c‘è canzone migliore
che il fresco sciamare di foglie
il loro pigolare in crescendo
come chiacchierino di bambine
a prendersi gioco della vita
e cresce la voce come d’uno solo
del bosco la roca voce senza tempo
che sa farsi sentire anche in bisbigli
e larghi richiami in pigri sbadigli
- dimmi il tuo nome… – invita con l’incanto d’un barbaglio
di sole, con un cupo manto d’ombra
e poi ti strizza l’occhio aprendosi
improvviso con un vento più gaio
in un largo sorriso
- eccomi a te, benvenuto…-
e ti stringe leggero
e ti accarezza muto
- ti riconosco – Il vento ti conosce e t’apre il passo.
Nando Giangregorio
8° classificato
E svanirà anche l’ultima illusione
Nel mistero della notte, vegliata da tremule stelle,
scendo nei fondali del mio inconscio,
segreto scrigno dei pensieri miei,
per fare l’inventario dei miei sogni alati,
ancora prigionieri in grembo ai miei desideri.
Un flash a ritroso nel tempo di ieri guizza,
quando euforico accarezzavo chimere, nutrivo speranze.
E come fotogrammi, i miei sogni giovanili
scorrono veloci sullo schermo della memoria,
echi dolorosi di remote illusioni non ancora sopite.
E mi porto dentro il cruccio del tempo sprecato,
quando girovagavo per i vani sentieri della speranza.
Ed ora assisto al declinar delle mie stagioni erranti.
Echeggiano nell’aria i mesti rintocchi dei sacri bronzi,
messaggeri solerti di vite anzitempo dal fato rapite,
e penso quando sui miei giorni ormai esausti,
gelido calerà il sipario dell’oblio,
svanirà anche l’ultima mia illusione,
e non verserò più lacrime sul sudario dei rimpianti.
L’eco degli effetti non cullerà più le mie solitudini
e seppellirò il mio dolore nei campi dell’infinito.
I miei ricordi saranno preda delle cesoie del fato,
prima di dissolversi tra le fauci voraci del tempo,
che cancellerà in fretta anche questo mio sterile canto.
Francesca Fazio
9° classificata
La valigia
Porto ancora con me, nei viaggi per le strade del mondo,
la mia antica valigia.
Vorrei lasciarla lì, in una piccola stazione di un posto lontanissimo,
abbandonata tra i binari di un treno di un altro tempo.
Vi trovereste, aprendola, lacrime e poesie,
parole nel cuore, parole nella testa.
Ancora, cogliereste, canzoni passate, estasi e tormenti,
sorrisi e pianti, solitudini e rabbia.
E poi questa invadente nostalgia che si mescola ai ricordi e che,
insieme al dolore di perdite ancora sanguinanti,
mi impedisce di spiccare il volo oltre le vette innevate.
Certe sere la mia valigia è troppo pesante,
certe notti è troppo piena,
e mi toglie la luce della luna, il brillio delle stelle,
il canto delle cicale nelle sere d’estate.
Per portarla devo lasciarla, per lasciarla devo aprirla,
per aprirla devo piangere ancora.
Ma sono stanca di piangere. Quanto tempo dovrò ancora farlo?
Vorrei accendere d’incenso questa notte stellata
e danzare fino al mattino, a piedi nudi nella sabbia.
Vorrei abbracciarti, e sussurrarti parole d’amore
cantando la gioia e l’estasi del mio cuore.
Vorrei alleggerire il mio cuore di ogni vana paura,
salire sul mio cavallo fremente, e galoppare al tramonto,
con la forza e il tremito dei miei pensieri e del mio cuore.
Tremito forte, ardente di coraggio,
forza dolcissima, di chi ha solcato le valli del dolore,
e ha ritrovato il diamante puro della gioia.
Vorrei poggiare il capo sul tuo braccio, e raccontarti le favole della mia vita.
Dovrei forse appoggiare la mia valigia lì, in quell’assolato solaio di campagna;
un giorno, i sogni e i dolori che la riempiono,
saranno racconti inebrianti di vita piena e sincera,
la vita che porto dentro al mio cuore,
con coraggio e forza di autentico sentire.